Reazione di massa alle epidemie: cosa succede?
4 min readIl recente emergere di focolai in tutto il mondo del nuovo coronavirus, e i numerosi casi in italia, hanno fatto riemergere la paura collettiva delle epidemie. Nella storia sono stati innumerevoli i casi di epidemie, che a volte sono arrivati a mietere anche milioni di persone. Capire in quale modo le popolazioni colpite reagiscono a questo tipo di eventi è fondamentale nel poter preparare una risposta efficace e gestire la reazione di massa.
Uno dei fattori principali nell’influenzare come la popolazione risponde all’epidemia parte dalla comunicazione. I mass media possono mantenere informata la popolazione sullo sviluppo di vaccini e cure farmacologiche, mettere in atto campagne per promuovere comportamenti positivi che diminuiscono il rischio di diffusione e influenzare la percezione che il pubblico ha dell’evento. Numerose ricerche dimostrano come un utilizzo efficiente dei mass media sia essenziale per rallentare la diffusione delle malattie.
Quando le informazioni riguardanti l’epidemia iniziano a diffondersi e il pubblico viene a conoscenza del possibile pericolo, le persone tendono a diventare più vigili, più consapevoli dell’ambiente attorno a loro. La prima reazione è di paura, si raccolgono informazioni sul come combattere la crisi e si cerca di prepararsi per poterla superare. Questo porta spesso all’assunzione di precauzioni non necessarie o premature. Le persone hanno bisogno di sentirsi in controllo, di sentirsi in grado di agire.
Per poter agire efficacemente c’è bisogno però di identificare l’oggetto contro cui si deve agire. C’è bisogno di qualcosa, spesso qualcuno, a cui poter dare la colpa. Durante le epidemie di peste si cercava l’untore, colui che volontariamente andava nei centri abitati a infettarne gli abitanti. I sieropositivi nei primi anni dello scoppio dell’HIV erano stigmatizzati al punto da ritrovarsi spesso isolati dagli stessi familiari, mentre oggi si allontanano gli individui con tratti asiatici anche se non hanno mai visto la Cina.
Alla reazione di panico si affianca anche quella di diniego, che tende ad essere anche più comune in alcuni casi. La portata e gli effetti dell’epidemia sono sminuiti e vengono assunte poche precauzioni a riguardo. Questo rappresenta sicuramente un punto negativo, ma solitamente questa è la reazione che meno preoccupa chi si dovrà poi occupare di gestire la reazione di massa. La mancanza di cautela può rappresentare sì un rischio, ma porta a un danno minore del panico.
Jonathan Mann, ricercatore della World Health Organization durante la pandemia di HIV negli anni ’80, osservò che un’epidemia di HIV si svolgeva tendenzialmente in 3 fasi.
Nella prima, la malattia entra in una comunità in maniera silenziosa, senza essere notata, diffondendosi a volte per anni prima di essere effettivamente compresa.
La seconda fase è quella acuta e rappresenta l’epidemia vera e propria, quindi la rapida diffusione della malattia e l’aggravarsi dei primi malati.
La terza fase è invece la reazione di massa all’epidemia, descritta come esplosiva e caratterizzata da aperta stigmatizzazione dei malati e in alcuni casi da una reazione collettiva di negazione. Lo stigma sembra differenziarsi in base a quanto il malato viene ritenuto responsabile della propria malattia, persone come gli emofiliaci o i figli di madri infette vengono viste come “vittime innocenti”.
Non tutti inoltre rispondono alla stessa maniera alle misure di contenimento messe in atto durante un’epidemia. Indagando sulle risposte a ipotetici scenari con misure di contenimento come la quarantena e la chiusura delle scuole o degli uffici, da uno studio del 2008 emergono diversi aspetti critici. La maggior parte delle persone sembrerebbe disposta ad assecondare queste misure solo fino a quando la propria stabilità finanziaria non ne viene compromessa, dovendo ad esempio saltare molti giorni di lavoro. Nella cura a un familiare ammalato molti sentono il peso della preoccupazione di ammalarsi a propria volta. La resilienza delle persone in quarantena sembra essere proporzionale al grado di preparazione pregresso.
Una forte componente nel mitigare e nel direzionare la reazione di massa alle epidemie è quindi la capacità dei governi e delle organizzazioni internazionali di informare la popolazione, che devono però passare tramite i mass media, spesso i primi responsabili della cattiva informazione che può circolare in questi casi. Un modo per contenere i danni delle reazioni esagerate o troppo incaute dovrà necessariamente passare dalla corretta informazione e dalla qualità della comunicazione tra scienza e popolazione.
Se siete interessati ad approfondire l’argomento, qui è disponibile un manuale pubblico della World Health Organization che affronta l’argomento nel dettaglio.
Sono Francesco Alonci, laureato in Psicologia. Ho studiato Psicologia Cognitiva Applicata a Padova, città in cui tutt’ora vivo. Sono da sempre stato affascinato dal comportamento umano, da dove questo nasca e come si sviluppi. Sono inoltre un musicista, avido lettore e amante di videogiochi, cinema e cultura pop.