Ridere del trash è esso stesso un gesto trash?
4 min readIn un panorama televisivo in cui spesso il trash la fa da padrone ci sono alcuni programmi tv, dal Grande Fratello all’Isola dei Famosi, passando da Matrimonio a prima vista ad Amici, che vengono guardati anche da chi dice di disprezzarli, spesso per il sottile piacere di poterne parlare male. Ma cosa spinge a vedere in maniera attenta qualcosa che, fondamentalmente, non interessa? Tendenzialmente si vede un programma perché piace; se lo si considera brutto o stupido, si cambia semplicemente canale. Questo è quanto la logica direbbe sul tema, invece esiste una terza via: guardare un programma che si reputa imbarazzante o melenso non nella speranza di cambiare opinione ma per poterlo prendere in giro in diretta.
Esistono dei veri e propri gruppi che raccolgono tutte queste battute, come Spinoza LIVE, uno dei profili Twitter più noti sul tema. Questa partecipazione è effettivamente divertente, un piacere che annulla il fatto che magari il tal programma, senza social, uno non lo vedrebbe mai. Grazie ai tanti appassionati che seguono l’hashtag #maratonamentana e commentano gli ospiti, le gaffe e i problemi in studio, il direttore del TG di La7 riuscirebbe a fare ottimi ascolti anche con gli exit poll di una riunione di condominio.
Ma questo tipo di presa in giro, che va benissimo ed è comunque divertente, può nascondere in alcuni casi due problematiche: la prima è legata al senso di superiorità, la seconda al bisogno di fare gruppo.
Prendere in giro qualcosa o qualcuno che si ritiene inferiore o trash fa sentire superiori. Dal divano di casa, in una situazione di sostanziale tranquillità, magari dietro pseudonimo, dà libero sfogo alla creatività usando la performance di estranei come bersaglio mobile. Implicitamente dico al mondo della rete che sono migliore di chi è in televisione, e se lo sono io, tu che mi stai ascoltando, o che stai seguendo questo gruppo, o che commenterai subito dopo, lo sei a tua volta. Estremizzando, si tratta di una sorta di complesso di superiorità, che però di solito maschera una profonda insicurezza. Un’illusoria sensazione di successo con alla base delle emozioni negative più intense. Inoltre fare virtualmente parte di un gruppo, teoricamente privo di conflitti visto che lo scopo di tutti i suoi partecipanti è quello di prendere in giro la stessa trasmissione, riesce ad attenuare il senso di solitudine, anche se dal punto di vista reale si è effettivamente soli nel proprio salotto.
Questo atteggiamento, anche se in modo più sottile, è presente nella routine quotidiana di molti e non è direttamente collegato all’ironia, strumento fondamentale per prendere la vita con leggerezza: la persona ironica scherza con gli altri e sa ridere anche di se stessa, supera le difficoltà con una battuta, ha un atteggiamento positivo. No, è qualcosa che nonostante sembri neutro, spesso anche intelligente, alla fine assume un valore negativo. Possiamo definire questo modo di prendere in giro ‘sarcasmo’ o ‘sfottò’, ed è un problema solo quando il suo utilizzo, a scuola come al lavoro, a casa come al supermercato, non costruisce ma smonta, non porta a ridere con qualcuno ma di qualcuno.
Estremizzando, i rischi principali di questo atteggiamento sono due: l’assenza di empatia e l’immobilità. Nel primo caso si tratta del rifiuto di vedere le cose secondo il punto di vista dell’altro. Se io, insieme a persone che sono simili a me, prendo in giro chi per me rientra nella categoria di strano o sciocco, vuol dire che penso che il mio modo di essere – fare, parlare, vestirmi, pensare, vivere – mi renda superiore all’altro e mi ponga di diritto in una cerchia ristretta di persone superiori. Vuol dire che in quella cerchia riesco a non avvertire il mio senso di inferiorità grazie alla gratificazione che arriva dall’accettazione di un gruppo di simili. Della persona o della situazione che sto prendendo in giro non conoscerò mai nulla. Magari la mia opinione non cambierà di una virgola, ma avvicinarmi positivamente a ciò che reputo strano è l’unico modo per imparare qualcosa di nuovo, anche se alla fine non mi piace: la derisione a priori, superficiale, semplicemente impedisce qualunque dialogo. Ognuno sta solo, o quasi, nella sua zona di comfort sentendosi migliore o peggiore a seconda dei casi.
Poi c’è l’immobilità, che diventa negativa quando tocca una situazione o un comportamento per il quale sarebbe meglio, invece, prendere una posizione. Se il capoufficio è burbero o ingiusto, prenderlo in giro tra colleghi può aiutare a lenire la frustrazione o a far sentire i dipendenti migliori del loro capo; alla fine ridendo di lui la vita in ufficio sarà anche più tollerabile, ma certo non è migliorata, perché per risolvere il problema bisognerebbe affrontarlo, agendo per cambiare le cose.
Sono una giornalista professionista, laureata in lettere all’Università di Torino e, come laurea magistrale, in editoria e scrittura alla Sapienza. Ho iniziato nel mondo dei settimanali sportivi per poi indirizzarmi su approfondimenti di carattere politico-sociale e culturale. Credo che sia indispensabile comprendere le dinamiche sociali e le loro conseguenze sul pensiero collettivo per conoscere il mondo che ci circonda.