Salute mentale e serie tv: il caso di Bojack Horseman
4 min readCreata da Raphael Bob-Waksberg, con Will Arnett a dare la voce al personaggio principale, Bojack Horseman va in onda per la prima volta il 22 Agosto 2014. In una prima stagione che ha diviso critica e pubblico, vengono introdotti i personaggi principali della serie e il mondo in cui si muovono. In una America abitata da umani e animali antropomorfi, espediente abilmente usato per descrivere vizi e difetti puramente umani, facciamo quindi la conoscenza di Bojack Horseman, attore di Hollywood che dopo aver raggiunto il picco del suo successo con “Horsin’ Around”, sitcom degli anni ’90, ha trovato sempre più difficoltà a lavorare. Bojack è un cavallo cinico, narcisista e con gravi problemi di dipendenza da alcool e droghe, il cui lavoro viene tenuto in piedi solo grazie all’abilità della sua manager ed ex-compagna, Princess Caroline, una gatta precisa, zelante e stacanovista, che lo convince ad assumere una ghost-writer americana di origini vietnamite, Diane Nguyen, per concludere la sua autobiografia.
Nascondendosi dietro un inizio allegro e colorato, in mezzo ad animali parlanti e giochi di parole ricercati, la serie inizia molto presto a rivelare il suo vero volto, andando a scavare dentro ognuno dei suoi personaggi per offrire un ritratto estremamente realistico di essi e della menzogna hollywoodiana dietro cui ciascuno si nasconde e che, inevitabilmente, plasma le loro vite e la loro persona. La lotta esistenziale contro una vita il cui significato è sempre più assente, in cui il concetto di maschera assume un valore ancora più centrale vista la doppia natura, pubblica e privata, di buona parte della vita dei protagonisti. Ognuno dei personaggi rappresenta un aspetto diverso di questa lotta, portandosi dietro esperienze di vita differenti e modi diversi per affrontare l’angoscia derivante dalla mancanza di significato.
Bojack Horseman vive il dramma della ricerca della felicità, che gli viene ovunque mostrata dal luccicante, quanto falso, mondo di Hollywoo (che nella serie perde la d finale), ma che non riesce a trovare in se stesso. Il paradossale peso del non riuscire ad essere felici in situazioni in cui ci si aspetterebbe invece di esserlo, dopo che la vita ti ha dato tutto quello che potessi desiderare. Vive la lotta contro se stesso, contro il suo voler essere una “brava persona” ed essere riconosciuto come tale, senza però riuscirci e, forse, senza nemmeno capire cosa vuol dire. Cerca ovunque cause che possano spiegare, e quindi giustificare, il suo senso di inadeguatezza, che sia colpa della società, della famiglia, delle persone attorno a lui o del puro caso. E quando non le trova cerca un perdono, una punizione, qualcosa che possa sollevarlo dall’angoscia derivante dalle conseguenze delle sue azioni. Il suo è un viaggio verso l’imparare ad assumersi la responsabilità di quello che si è e che si fa e che, al contrario della serie tv che l’ha reso famoso e del personaggio da cui spesso fa fatica a separarsi, nella vita reale non sempre esiste una redenzione. La realtà non è una sitcom divisa in compartimenti stagni da 20 minuti all’interno di cui tutto trova una soluzione.
In maniera forse voluta, Bojack affronta la depressione in maniera complementare a quella che diventa presto la sua ancora di salvezza e maggiore confidente: Diane. Scrittrice e femminista dalle forti convinzioni politiche, Diane rappresenta un’altra faccia della depressione. La lotta contro il riuscire a rimanere sé stessi all’interno di un mondo di maschere e copertine, contro le aspettative che noi stessi ci creiamo, contro la delusione del non essere all’altezza di un ideale auto-imposto. Tramite lei viene anche affrontato l’aspetto farmacologico della terapia e i problemi che esso crea. Senza la mia malattia sono davvero me stessa? Qual è il confine tra la mia personalità e la malattia? Se quello che era prima ruotava intorno alla sintomatologia depressiva e lì aveva una sua base, è essenziale sapersi riscoprire e ristrutturare per andare avanti.
Lo show affronta in maniera approfondita la complessità del rapportarsi con un universo caotico e imprevedibile contro cui lottiamo senza averne i mezzi e le conoscenze, in cui ogni azione ha le sue conseguenze indipendentemente dalle nostre intenzioni o da quanto ne sentiamo nostra la responsabilità. Ogni personaggio cerca di affrontare il proprio vuoto in qualche modo, che sia con droghe e alcool, con il continuo lavoro o con la perenne ricerca di una distrazione, ognuno rappresenta un piccolo spaccato di vita incredibilmente rifinito che lascia amare riflessioni su se stessi e sul proprio modo di affrontare la vita. Una serie che si rivolge allo spettatore in maniera intima, portandolo a scavare dentro di sé, superando ogni considerazione superficiale e mettendolo faccia a faccia con se stesso. Una serie che parla di ognuno di noi.
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Sono Francesco Alonci, laureato in Psicologia. Ho studiato Psicologia Cognitiva Applicata a Padova, città in cui tutt’ora vivo. Sono da sempre stato affascinato dal comportamento umano, da dove questo nasca e come si sviluppi. Sono inoltre un musicista, avido lettore e amante di videogiochi, cinema e cultura pop.