Scienza per tutti
5 min readLa storia
Agli inizi del ‘900 ha iniziato a diffondersi l’idea che la scienza fosse “troppo complicata” per le persone “normali”. Complici gli avanzamenti scientifici della prima metà del secolo, in particolar modo nel campo della fisica, questa idea si è radicata. Informare il pubblico riguardo agli avanzamenti scientifici è diventato compito di giornalisti e mediatori che dovevano in qualche modo “tradurre” i concetti espressi dagli scienziati. Questi ultimi, dal canto loro, spesso si ritenevano estranei al processo di comunicazione scientifica. Quando la comunità scientifica ha iniziato a rendersi conto che il grande pubblico era poco consapevole riguardo alla decisioni e i processi scientifici, si è capito che questo poteva costituire un problema.
Fin dagli anni ‘80 del secolo scorso diverse istituzioni hanno promosso ricerche riguardo l’interesse e la consapevolezza del pubblico in merito alla scienza. Da queste ricerche emerge che il pubblico non ragiona come gli scienziati. Questa differenza non dipende da una semplicistica mancanza di conoscenze o di intelligenza, le persone che non si occupano di scienza non sono stupide (di solito). Semplicemente gli scienziati sono soggetti a una diversa formazione, che plasma il loro modo di pensare. Non è diverso da ciò che succede in altri ambiti: un professionista è in grado di vedere errori o notare dettagli che altri non vedono. Un bravo meccanico fa notare un rumorino quasi impercettibile dell’auto, indice di una rottura imminente. Una personal trainer preparata vi correggerà esercizi che credevate di fare giusti.
Perché comunicare la scienza
Sebbene alcune ricerche sembrino completamente slegate rispetto alla realtà che ci circonda, le scoperte scientifiche contribuiscono a dare forma al nostro futuro. Se quanto viene analizzato in laboratorio non viene diffuso il mondo non può beneficiare delle nuove scoperte e gli scienziati stessi possono trovarsi in difficoltà. I decisori politici, infatti possono non vedere la necessità di spendere per qualcosa di “inutile e incomprensibile”, quindi la ricerca si ritrova senza fondi. Per ottenere un adeguato riconoscimento a livello istituzionale è necessario che la politica sia consapevole delle nuove scoperte scientifiche, ma non basta; le decisioni politiche infatti sono fortemente influenzate dalla pressione degli elettori, la maggior parte dei quali non sono scienziati. Se il pubblico non è consapevole dell’impatto che la scienza ha sulle nostre vite, potrebbe sollecitare decisioni politiche poco lungimiranti. Cosa che di fatto abbiamo già visto succedere in vari campi.
Come si comunica la scienza?
Nel corso degli anni il problema di rendere il pubblico consapevole riguardo scoperte e controversie scientifiche è diventato evidente. Ci si è quindi chiesti quale fosse il modo migliore per avvicinare le persone alla scienza. Inizialmente si pensava fosse un problema di ignoranza, persone scientificamente poco acculturate non potevano comprendere l’importanza delle ricerche svolte e quindi andavano informate. In questa fase il pubblico viene considerato come una massa illetterata che ha bisogno di ricevere le giuste informazioni. A quel punto non potrà che accordare piena fiducia alla comunità scientifica, giusto? Sbagliato! A nessuno piace essere considerato poco intelligente e questa modalità di comunicazione scientifica, definita in inglese “Deficit Model” si è rivelata, in genere, fallimentare.
A partire da questa consapevolezza sono state esplorate varie modalità di comunicazione, più o meno simili al Deficit Model, fino ad arrivare all’approccio oggi più diffuso che viene definito Public Engagement/Dialogue Model. Secondo questo modello la scienza può essere alla portata di tutti, ma solo se il pubblico viene coinvolto, a vario titolo, all’interno del processo scientifico. Le persone dovrebbero poter partecipare a dibattiti, eventi, workshop, iniziative e ricerche, contribuendo con domande, osservazioni e dati (questo dipende dal tipo di ricerca).
Gli scienziati affiancano comunicatori, mediatori e giornalisti in modo da rendere il dialogo il più possibile efficace, ovviamente con ruoli diversi. Può succedere che un concetto sia effettivamente molto complesso senza conoscenze pregresse specifiche. Compito di chi media il dialogo è quello di semplificare o trovare la giusta metafora per raggiungere quante più persone possibile. Il Dialogue Model si è rivelato vincente sotto molti aspetti: possiamo vedere che si moltiplicano iniziative di Citizen Science e incontri a tema scientifico. Generalmente i partecipanti si dimostrano entusiasti, disposti ad ascoltare e a fornire il proprio contributo, ciascuno riguardo ai propri interessi personali.
Non è tutto oro quel che luccica
Nonostante l’impegno della comunità scientifica e l’interesse dimostrato dal pubblico è sotto gli occhi di tutti che questo non basta. Il dialogo è possibile nel momento in cui entrambe le parti sono interessate a comprendere. Per questo motivo i dibattiti televisivi in cui ad un vero esperto si contrappone il “negazionista” di turno non funzionano. Se lo scienziato può essere disposto a spiegare e ascoltare le ragioni della controparte, spesso non avviene il contrario. Chi è ostinatamente convinto delle proprie posizioni, a prescindere dai dati, difficilmente cambia idea. Emerge anche un altro problema, il coinvolgimento del pubblico è possibile nel momento in cui si manifesta spontaneamente una curiosità. Di sicuro non si possono obbligare le persone a partecipare ad eventi per i quali non hanno interesse.
La scienza è per tutti?
Vale quindi la pena di organizzare eventi, incontri e festival a tema scientifico? Sicuramente sì, queste iniziative rispondono comunque ad un bisogno della popolazione e degli esseri umani in generale, che sono curiosi e interessati. Non tutti possono essere scienziati, tuttavia tutti possono arrivare a comprendere le motivazioni scientifiche dietro ad una decisione politica (ammesso che ce ne siano). Gli sforzi fino ad ora messi in campo stanno tuttavia dimostrando i loro limiti, perciò non è finita. Probabilmente nei prossimi anni sarà necessario ripensare il coinvolgimento del pubblico per arrivare anche a coloro che non dimostrano un interesse spontaneo per la scienza, ma sono almeno disposti ad ascoltare.
Per approfondire:
Bucchi & Trench, (2008), Handobook of Public Communication of Science and Technology, Routledge.
Stilgoe et al., (2014), Why sgould we promote public engagement with science?, PUS Vol. 23.
Laureata in Scienze Naturali, mi sto specializzando in Didattica e Comunicazione delle Scienze. Pratico e insegno Arti Marziali sino-vietnamite e lavoro come educatrice scientifica per bambini e ragazzi. Mi piacciono i libri di fiabe e leggende per gli insegnamenti che trasmettono e perché hanno il grande potere di stimolare la curiosità.