Segnali dallo spazio. Breve storia della scoperta delle Pulsar
3 min readRecentemente non è passata inosservata una dichiarazione dell’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il quale invitava a prestare attenzione a oggetti non identificati che costantemente volano attorno a noi. La storia dell’uomo è stata da sempre intrecciata con la curiosità di conoscere civiltà extraterrestri: letteratura, cinema, religioni, si sono espresse lungamente su questo.
La storia che voglio raccontare oggi però è di uno specifico segnale che abbiamo captato dallo spazio, precisamente nel 1967. La protagonista della nostra storia è una scienziata nord-irlandese che risponde al nome di Jocelyn Bell: durante il suo dottorato in astronomia si occupò di costruire un enorme radio telescopio, grande quanto 60 campi da tennis, per captare le onde radio emessi da sorgenti che allora si conoscevano poco. Si trattava di Galassie molto luminose, al punto che furono battezzate “quasi stelle” ed oggi si chiamano QUASAR (Quasi-Stellar radio sources).
Un giorno, fra l’enorme quantità di dati da analizzare, Jocelyn trovò un segnale che le avrebbe cambiato la vita.
Bip (1 secondo)
Pausa (1 secondo)
Bip (1 secondo)
Entrò subito in panico. Non si conoscevano ai tempi sorgenti capaci di emettere un segnale così preciso. Jocelyn fece un bel respiro e capì: doveva trattarsi di forme di civiltà aliena che cercavano di mettersi in contatto con lei. Battezzò questa sorgente LGM1, “Little Green Men”, piccoli omini verdi, così se li immaginava. Quel segnale che lei aveva lì, nel suo radiotelescopio, era la prova della prima comunicazione con una civiltà aliena, la prova che non eravamo soli in questo Universo.
Qualche giorno dopo, se possibile, una sorpresa ancora più grande: stesso identico segnale, ma dalla parte opposta del cielo. Oddio, un’altra civiltà aliena che vuole parlare con noi? Non ci ha cagato nessuno per millenni ed ora siamo così richiesti!
E quando da due, passarono a tre, poi quattro, cinque segnali da diversi punti dell’Universo, lei e il suo professore capirono che essere circondati da omini verdi logorroici non era molto probabile.
Jocelyn Bell non aveva scoperto una civiltà aliena, ma aveva scoperto una nuova classe di sorgenti: le Pulsar.
Quando una stella massiccia muore, solitamente esplode, liberandosi dei suoi strati più esterni e lasciando al centro un oggetto piccolo e molto denso, che solitamente viene indicato con il nome di “stella di neutroni”. E’ un oggetto così denso che se potessimo avvicinarci e prenderne un cucchiaino di caffè di stella di neutroni, questo peserebbe circa 300 tonnellate.
Alcune stelle di neutroni hanno anche un’altra particolarità: un cuore pulsante capace di emettere a diverse frequenze, dalle onde radio ai raggi gamma. Questi corpi ultra-compatti danno origine a intensi campi magnetici, fra i più intensi conosciuti. Possono ruotare fino a migliaia di volte al secondo, generando un campo elettrico capace di strappare elettroni e positroni (le antiparticelle degli elettroni) e accelerarli nello spazio, dando vita ad una forte produzione di antimateria ad energie che possiamo rivelare.
A causa dei loro forti campi magnetici non irradiano isotropicamente (cioè in tutte le direzioni), ma in piccoli coni. La combinazione fra questa emissione e la rotazione della stella produce lo stesso effetto ottico di un faro sul mare, quando, illuminando e ruotando, sembra che questo lampeggi; in questo caso, l’effetto ottico è che la stella pulsi, da cui il nome Pulsar, o stella pulsante.
La scoperta delle Pulsar fu così rivoluzionaria tanto da valere il premio Nobel per la fisica nel 1974. Ovviamente non lo vinse lei perchè femmina e quindi propensa all’accudimento, il premio fu assegnato al suo supervisore di dottorato e lei non fu nemmeno menzionata durante la premiazione. Lei tuttavia non si rassegnò e continuò a studiare. In fondo c’era qualcosa che nessun uomo avrebbe potuto toglierle: era stata la prima donna a sentire il suono di una Pulsar.
L’ispirazione per questo articolo è stata presa da un bellissimo talk a Famelab Italia 2018, da parte di Edwige Pezzulli, amica e scienziata fortissima. Lo dedico a lei e a tutte le donne nella scienza, le quali, nonostante le difficoltà e le contraddizioni intrinseche di una società che non le vorrebbe fuori dalla cucina, contribuiscono al progredire della conoscenza. Grazie.
Sono un dottorando in fisica delle astroparticelle presso il Gran Sasso Science Institute. Spesso con la testa fra le nuvole, affascinato dai misteri dell’universo, ho sviluppato un interesse verso gli aspetti più umani della nostra esistenza. Credo che la divulgazione debba essere un momento educativo in cui ci si diverta imparando