I segreti degli esperti di scacchi
4 min readQuando si parla di presa di decisione, risoluzione dei problemi ed expertise, il tutto applicato ad un gioco, a molti viene in mente una sola cosa: gli scacchi. Gli psicologi hanno infatti studiato a lungo gli esperti di scacchi, cercando di svelarne i segreti. Grazie alle sue caratteristiche peculiari questo gioco rappresenta una grossa opportunità per scoprire come agisce la mente umana quando si trova di fronte a un problema dalla difficile soluzione e dalle molteplici possibilità di azione.
Il gioco degli scacchi, le cui origini possono essere fatte risalite all’India del VI secolo seppur con regole e pezzi leggermente diversi, è infatti parte preponderante dell’immaginario comune quando si parla di giochi “intellettuali” e di strategia. Trasversale alle classi sociali, e quindi apprezzato tanto dagli strateghi militari quanto dalle classi più povere, è il gioco che forse più di qualsiasi altro rappresenta la sfida strategica tra due persone, lo scontro tra gli intelletti.
Data la loro influenza sulla cultura popolare, basti pensare a quanta letteratura e quanta arte ha tratto ispirazione dagli scacchi e dalle loro regole, e considerata l’immagine dello scacchista esperto come abile calcolatore dalla mente agile, inevitabilmente all’interno degli ambienti accademici si è iniziato a chiedersi cosa effettivamente differenzi un giocatore abile da uno ancora inesperto, almeno dal punto di vista cognitivo. Gli scacchi offrono inoltre una scala di misura abbastanza precisa, il sistema ELO, per determinare la bravura di un giocatore.
Senza considerare competizioni con regole particolari ma il gioco nella sua forma più pura, non servono prontezza di riflessi, abilità manuali e motorie fuori dalla norma o una particolare coordinazione visiva per poter essere un bravo giocatore. Quella che è l’abilità principe di questo gioco è infatti quella di problem solving, la capacità di analizzare e trovare la strategia più efficace per risolvere un problema.
Ponendo un certo numero di giocatori, dall’esperienza variabile, di fronte ad un problema scacchistico cosa succederà quindi? In che modo questi cercheranno di risolvere il problema, cosa cambierà nelle loro risposte e nel loro approccio strategico? Queste sono le domande che si è posto Adriaan de Groot, psicologo e campione di scacchi, i cui studi in merito sono tra i più citati in letteratura.
De Groot pose un gruppo di Grand Masters, campioni eccezionali di scacchi, e un gruppo di esperti di scacchi “ordinari”, giocatori che avevano comunque una certa esperienza, di fronte a una scacchiera con i pezzi disposti in modo da riprodurre una situazione che si potrebbe ritrovare normalmente in una qualsiasi partita. Gli ha quindi chiesto di esporre ad alta voce il ragionamento che stavano seguendo per determinare quale fosse la mossa migliore che il giocatore Bianco potesse mettere in atto.
Contrariamente alle sue aspettative, de Groot non trovò alcuna differenza tra i due gruppi nella velocità di ricerca di nuove mosse o nel numero di mosse prese in considerazione. Semplicemente i giocatori migliori sceglievano mosse migliori. Scoprì tuttavia che ad essere decisivi nella scelta della mossa migliore potevano essere i primi secondi in cui i soggetti si trovavano di fronte ad una situazione nuova. I Grand Masters erano infatti notevolmente migliori nel ricostruire a memoria la posizione dei pezzi dopo aver osservato la scacchiera per soli 5 secondi!
Portando avanti questo filone di ricerca sugli esperti di scacchi altri due studiosi, Chase e Simon, ripercorsero i passi di de Groot analizzandone gli stessi compiti, e qualche altro, sotto punti di vista diversi. Si concentrarono infatti sul movimento degli occhi e sull’elaborazione visiva immediata, concludendo che una grossa differenza tra esperti e novizi fosse nella capacità e nella velocità di dividere la scacchiera in “chunks”, ovvero insiemi funzionali di pezzi.
I Grand Masters riuscivano ad elaborare con maggiore velocità e tenere in memoria chunks notevolmente più grandi rispetto ai novizi, e questo spiegava anche le differenze trovate da de Groot. Tuttavia erano soggetti agli stessi limiti mnemonici dei novizi. La differenza principale stava proprio nella grandezza del chunk. Se i novizi, di fronte a 20 pezzi, avevano bisogno di suddividerli in 4-5 chunks da 4-5 pezzi ciascuno, gli esperti riuscivano a mantenere in memoria un numero minore di chunks costituiti però da un numero maggiore di pezzi.
A fare la differenza tra gli esperti di scacchi e i novizi sembrano quindi essere vari fattori. Una maggiore velocità nell’elaborazione visiva, una maggiore capacità di mantenimento in memoria di lavoro dei costrutti visivi così elaborati e l’elaborazione di insiemi di pezzi più grandi. Ognuna di queste capacità poggia inoltre su un apparato di conoscenze acquisito con l’esperienza. Se agli inizi i giocatori hanno bisogno di processi deduttivi lenti e consapevoli, con l’esperienza arrivano a interiorizzare questi processi rendendoli veloci e inconsci.
L’esperienza permette inoltre agli esperti di tenere in memoria un numero maggiore di mosse e conseguenze derivate dalla propria esperienza passata e dall’esperienza che hanno fatto delle partite altrui, riuscendo a riconoscere velocemente situazioni già viste per affrontarle con strategie che già sanno essersi rivelate efficaci in passato. Si potrà spesso sentire un giocatore esperto sostenere che “negli scacchi non esistono mosse nuove”.
Sono Francesco Alonci, laureato in Psicologia. Ho studiato Psicologia Cognitiva Applicata a Padova, città in cui tutt’ora vivo. Sono da sempre stato affascinato dal comportamento umano, da dove questo nasca e come si sviluppi. Sono inoltre un musicista, avido lettore e amante di videogiochi, cinema e cultura pop.