Sia fatta la tua volontà! – (Parte 3)
6 min readIl mito dell’intelligenza artificiale tra hybris e desiderio di salvezza
Eccoci giunti all’ultimo appuntamento del nostro viaggio nel mondo dell’intelligenza artificiale, un viaggio in cui abbiamo tentato di separare il mito da ciò che oggi è reale. Nell’ultima puntata, ci eravamo lasciati accennando ad uno dei miti più persistenti e longevi, ovvero quello del possibile avvento di una tecnologia “antropomorfa” in grado di prendere addirittura il sopravvento sull’essere umano.
Ripartiamo da qui. Un esempio eclatante, in proposito, è lo scritto ottocentesco di un autore inglese, un certo Samuel Butler (Langar, 4 Dicembre 1835 – Londra, 18 Giugno 1902); si tratta di un testo di poche pagine, pubblicato su un giornale neozelandese nel Giugno del 1863, dal titolo “Darwin Among the Machines”. Vediamo di cosa si tratta e del perché ci interessa.
Nel breve testo, l’autore (sotto lo pseudonimo di Cellarius) preconizza un futuro in cui la tecnologia (a cui si riferisce come “mechanical life”), evolvendosi in termini darwiniani con impensabile rapidità, si sarebbe imposta sull’umanità: “Nel corso di poche epoche è sorto un regno [quello della tecnologia] completamente nuovo di cui finora abbiamo visto solo quelli che un giorno saranno considerati i prototipi antidiluviani della razza.“.
Una velocità di evoluzione, quella delle macchine, incomparabile con qualunque altra forma di “vita” e per questo inusuale, innaturale diremmo, a tal punto che spinge l’autore a domandarsi senza mezzi termini: che tipo di essere sarà quello che in un prossimo futuro succederà all’uomo nella supremazia sulla terra? – “Noi stessi stiamo creando i nostri successori; stiamo aggiungendo ogni giorno bellezza e delicatezza alla loro struttura fisica; stiamo ogni giorno dando loro un potere maggiore e fornendo, con ogni sorta di ingegnosi espedienti, quel potere autoregolante e auto-agente che sarà per loro ciò che l’intelletto è stato per la razza umana. Nel corso dei secoli ci troveremo la razza inferiore.”.
Una visione lucida, una traiettoria degli eventi fin troppo definita, che non lascia spazio ad illusioni. O forse no? Anche in Butler/Cellarius l’anelito a trovare qualcosa di buono sotto il cielo cupo è forte. Come per molto odierni sostenitori incalliti dell’ IA, anche per Butler il fascino di qualcosa che possa andare oltre l’uomo è forte, visto che la “mechanical life” potrebbe diventare, oltre che superiore all’uomo in potenza, anche superiore in forza morale e quindi salvarci da noi stessi.
Siamo in piena età vittoriana, un epoca caratterizzata da un stretto codice etico sociale, va da sé che in quest’ottica le macchine sono viste come capaci di supremo autocontrollo “in uno stato di calma perpetua“, non sono soggette a “nessuna passione malvagia, nessuna gelosia, nessuna avarizia, nessun desiderio impuro” e quindi sono viste, a differenza dell’essere umano, come libere da qualsiasi forma di peccato. L’essere umano allora si scoprirebbe inferiore in ogni senso, “le considereremo come l’apice di tutto ciò a cui l’uomo migliore e più saggio potrà mai osare aspirare.”.
Il costo di poter disporre di questa “coscienza superiore” sarebbe però altissimo: è il costo della nostra servitù. Spetta al suo creatore mantenere la “machanical life”, riparando ogni suo malfunzionamento e “nutrendo” i suoi incessanti appetiti.
E’ interessante, o se volete inquietante, come fa notare uno dei critici del lavoro di Butler a cui mi sono ispirato per questo articolo, che Butler nel testo utilizzi (logicamente potremmo dire) il termine “feed” (in riferimento al nutrire gli appetiti delle macchine) – un secolo e mezzo dopo, lo stesso termine, come sappiamo, è divenuto uno standard in questo campo (“in informatica un feed è un flusso di informazioni […] per interpretare e scambiare il contenuto fra diverse applicazioni o piattaforme – fonte Wikipedia).
Nell’articolarsi, il ragionamento di Buttler diventa sempre più fosco: “Quando sarà giunta l’ora di ciò che qui che abbiamo cercato di descrivere [inteso la superiorità delle macchine], l’uomo sarà diventato per la macchina ciò che il cavallo e il cane sono per l’uomo. Continuerà a esistere, anzi a migliorare, e probabilmente starà meglio nel suo stato di domesticazione sotto il benefico governo delle macchine di quanto non stia nel suo attuale stato selvaggio… I nostri interessi sono inseparabili dai loro, e i loro dai nostri. Ogni razza dipende dall’altra per innumerevoli benefici e, finché gli organi riproduttivi delle macchine non saranno stati sviluppati in un modo che siamo ancora difficilmente in grado di concepire, esse dipenderanno interamente dall’uomo anche per la continuazione della loro specie.“.
Qualcuno sorriderà nel leggere queste parole. La questione è che da tempo immemore il rapporto tra uomo e tecnologia è ammantato dal mito, da immagini che evocano sia in chiave utopica che distopica ataviche speranze di salvezza e profonde paure. Non siamo liberi in questo. Non lo era Butler che, nato nella terra del luddismo, termina la sua dissertazione con un invito alla rivolta totale: “[…] giorno dopo giorno stiamo diventando sempre più sottomessi a loro; ogni giorno sempre più uomini sono costretti a prendersene cura come schiavi, ogni giorno sempre più uomini dedicano le energie di tutta la loro vita allo sviluppo della mechanical life. I frutti di tutto ciò sono semplicemente una questione di tempo, verrà il momento in cui le macchine avranno la vera supremazia sul mondo e sui suoi abitanti […] una guerra a morte dovrebbe essere immediatamente proclamata contro di loro. Ogni macchina di ogni tipo dovrebbe essere distrutta da colui che si considera un benefattore della sua specie. Non si facciano eccezioni, non si mostri alcuna pietà… Se si sostiene che ciò è impossibile nelle attuali condizioni degli affari umani, ciò dimostra immediatamente che il danno è già stato fatto, che la nostra servitù è iniziata sul serio, che abbiamo allevato una razza di esseri che è al di là del nostro potere distruggere e che non solo siamo schiavizzati, ma siamo assolutamente acquiescenti nella nostra schiavitù.”.
Parole estreme, ma che non possono non far riflettere. Descrivono perfettamente ciò che oggi noi siamo: acquiescenti nella nostra schiavitù. Il mezzo è diventato un organo essenziale del nostro essere. Non si può più tornare indietro…salvo complicazioni, non gravi.
Per terminare questo nostro itinerario, un’ultima riflessione, credo essenziale.
Alfred Tarski, eminente logico e matematico polacco del secolo scorso, è noto per i suoi studi sul concetto di verità nei linguaggi formalizzati, ovvero sul concetto logico di verità in riferimento ad una proposizione. Di cosa si tratta. Data una proposizione (un affermazione su un fatto), che indicheremo con S, e dato il fatto reale a cui si riferisce tale proposizione, che indicheremo con p, Tarski si chiede: cosa intendiamo quando diciamo che S è vera? La soluzione in termini logico matematici è semplice: S è vera se e solo se p
Detto in altri termini, un’affermazione (una successione di suoni o di segni) è vera solamente se corrisponde alla realtà.
Esempio: il colore delle lettere con cui è scritto questo articolo è il nero (S) – questa affermazione è vera se e solo se quello che vedete nel monitor sono caratteri in nero (p).
Vi invito allora a considerare queste due affermazioni; cito dal web:
“Intelligenza artificiale – si riferisce alla capacità delle macchine di svolgere compiti che in genere richiedono l’intelligenza umana, come riconoscere il parlato, prendere decisioni o risolvere problemi. Si basa su algoritmi e grandi set di dati per apprendere modelli ed eseguire compiti specifici in modo efficiente.” .
“Intelligenza umana – è la naturale capacità cognitiva degli esseri umani di pensare, imparare e adattarsi. Coinvolge processi come la risoluzione dei problemi, la comprensione, il ragionamento e l’uso di emozioni e abilità sociali per gestire situazioni complesse. A differenza dell’intelligenza artificiale, che è programmata e basata sui dati, l’intelligenza umana è influenzata da esperienze, cultura ed emozioni.”.
Basandoci sulle due proposizioni precedenti, siamo ancora in grado di affermare oggettivamente che le macchine sostituiranno l’essere umano in tutto e per tutto?
Lascio a voi il compito di sognare un futuro diverso… se ne sentirete il bisogno.
Mi piace definirmi un ingegnere umanista. Ho una laurea in ingegneria meccanica ad indirizzo gestionale, ma la mia vera passione è l’essere umano, la mia filosofia di vita: “uomo conosci te stesso”. Osservo, studio, sperimento, condivido, perché come disse un tizio: “poter condividere è poesia nella prosa della vita” (S. Freud)