Sindrome di Stoccolma: origini, caratteristiche e cultura di massa
3 min readEsiste davvero la sindrome di Stoccolma? Quali sono le sue origini?
Tutti la conosciamo come quella situazione in cui la vittima tende a sviluppare dei sentimenti per il suo aggressore o il suo sequestratore; tuttavia, a livello ufficiale, questa sindrome non è inserita in alcun sistema internazionale di classificazione psichiatrica o classificata in nessun manuale di psicologia.
Indagando maggiormente sulle origini di questa sindrome ed in particolare sulla natura del suo nome, vediamo che tutto si fa risalire al 23 agosto 1973 proprio nella città di Stoccolma -da qui il nome-: quel giorno infatti Jan-Erik Olsson, un uomo detenuto per furto nel carcere della città evase e tentò di compiere una rapina alla Svieriges Kreditbanken, prendendo in ostaggio tre donne e un uomo. Il sequestro fu ricordato perché durò oltre 130 ore, ma soprattutto perché al termine della prigionia gli ostaggi non ebbero che belle parole per il loro carceriere: gli episodi di gentilezza che si verificarono in quelle ore fecero in modo che gli ostaggi legarono a tal punto con Olsson da sviluppare una paura maggiore per la polizia che per la persona che li teneva in ostaggio -anche quando ci fu una minaccia di sparare alla gamba di uno di loro-. Gli psicologi e gli psichiatri che successivamente indagarono sul fatto, stabilirono che la sindrome di Stoccolma altro non era che una reazione emotiva automatica sviluppata inconsciamente al trauma di essere una vittima: le situazioni di pericolo in cui una vittima può trovarsi possono infatti portarla a sviluppare un meccanismo di difesa per il quale ad esempio se il sequestratore mantiene in vita tutti gli ostaggi, la tendenza è quella di pensare che essere gentili e comprensivi possa influire in maniera netta sulle possibilità di sopravvivenza. Secondo la banca dati dell’FBI, risulta che circa l’8% degli ostaggi ha manifestato sintomi corrispondenti alla sindrome di Stoccolma.
La sindrome di Stoccolma è caratterizzata da 3 fasi: in primis troviamo, come già detto, lo sviluppo da parte dell’ostaggio di sentimenti positivi nei confronti del suo sequestratore e il conseguente sviluppo di sentimenti di natura opposta verso la polizia; ultima fase è il ricambio (o la messa in scena in alcuni casi) degli stessi sentimenti da parte del carceriere/ sequestratore. Dalle ricerche sono emersi anche altri aspetti interessanti: se gli abusi esercitati sulle vittime sono pochi o addirittura nulli, le possibilità di instaurare un legame positivo con il rapitore saranno maggiori; inoltre, più il sequestro sarà prolungato nel tempo, maggiore sarà il livello di attaccamento verso la vittima; infine, i soggetti più giovani come bambini e adolescenti legheranno più facilmente con la persona che li sta tenendo in ostaggio arrivando a pensare di essere stati abbandonati dalla propria famiglia e, quindi, a vedere nel proprio rapitore una sorta di figura genitoriale.
Nella cultura di massa la sindrome di Stoccolma è stata riportata molteplici volte in numerosi prodotti televisivi, anche se il più recente e il più popolare esempio di rappresentazione avviene nel contesto della serie TV “La Casa di Carta”, dove il personaggio di Monica Gatzambide nel corso delle stagioni passa dall’essere ostaggio a essere parte integrante della banda di rapinatori, scegliendo non a caso come nome Stoccolma (caratteristica della banda è proprio l’avere scelto ognuno dei nomi di città come tratto distintivo). Questo passaggio avviene a causa del legame che si instaura tra Monica e uno dei rapinatori, Denver: i due rimangono chiusi in uno dei caveau della banca oggetto della rapina e finiscono per l’innamorarsi l’uno dell’altra.
Sono Sara, studentessa di lingue e culture per il commercio internazionale presso l’Università di Verona. Amo scoprire nuove culture e tradizioni attraverso il viaggio, grazie al quale mi sono appassionata alle lingue straniere, ed in particolar modo all’inglese e allo spagnolo. Tra le mie passioni figurano la danza e il canto, due discipline che mi accompagnano sin da piccola e attraverso le quali riesco ad esprimere me stessa, così come la lettura di libri, trascorrere il tempo ascoltando musica e guardare film e serie TV. Uso inoltre la scrittura (creativa e non) come valvola di sfogo per fuggire dalla realtà quando mi ci sento intrappolata. Se mi chiedessero cosa è per me la comunicazione al giorno d’oggi potrei tranquillamente dire che è uno dei vettori su cui si basa la società moderna, ed è perciò di fondamentale importanza veicolarla correttamente