Specie aliene: gli invasori silenziosi
6 min readQuando ero piccola al mercato c’era una bancarella con degli acquari abitati da pesci coloratissimi e delle vaschette piene di piccole tartarughe dalle macchie rosse ai lati della faccia e tantissimi bambini nel tempo, si sono fatti ammaliare da quelle piccolissime tartarughine che passavano il loro tempo a prendere il sole o a nuotare nella piccola pozza a loro disposizione. Erano bellissime, ma avevano un difetto: crescevano.
E quando anche la vasca da bagno di casa non bastava più a contenerle, arrivava la sofferta decisione di lasciare andare la propria tartaruga per (scusate il gioco di parole) altri mari. Per cui, con tutta la buona volontà del mondo, con cura si cercava la pozza d’acqua migliore nelle zone limitrofe e con affetto veniva dato l’ultimo saluto alla propria amica corazzata “Vai adesso, libera, nel posto in cui avresti dovuto essere sin dal principio”
Storie come queste, che ci fanno commuovere, sono raccontate in tantissimi film domenicali più o meno impegnati nei quali adulti e bambini portano gli animali “nel loro habitat naturale” perché “devono essere liberi”. C’è, però, un grandissimo “Ma”: non tutti gli animali che, per un motivo o per un altro, sono presenti nelle nostre case vivrebbero normalmente liberi nel nostro ambiente.
Infatti, la tartarughina divenuta grande – animale simbolo di quanto racconteremo in questo articolo – ha un habitat ben preciso nel quale, eventualmente, dovrebbe tornare: le acque dolci e fangose degli Stati Uniti, fino al Golfo del Messico. Stiamo infatti parlando di Trachemys scripta elegans, una delle tre sottospecie di testuggine palustre americana (Trachemys scripta), inserita nell’elenco delle “100 specie esotiche invasive più dannose al mondo”. Specie abbastanza longeva, è una temibile predatrice di anfibi, pesci e uccelli acquatici che, se rilasciata in un ambiente a lei idoneo, prolifica e stermina tutto quello che la circonda.
Figura 1: Un esemplare di Trachemys scripta elegans
Buona o cattiva?
Nel suo vero habitat naturale, T. scripta (come le sue sottospecie) ha un ruolo fondamentale, limitando la crescita delle popolazioni di diverse specie – come pesci, rane e molluschi, ma anche insetti e piante acquatiche – preservando l’equilibrio naturale dell’ecosistema in cui tutte queste specie vivono. Dal canto loro, le stesse testuggini sono prede di altre specie, come coccodrilli e alligatori, che a loro volta limitano la crescita della popolazione delle Trachemys. Si tratta di un intricato rapporto di interazioni nella comunità biologica che, nel suo complesso, preserva l’intero ecosistema. È il “Cerchio della Vita” avrebbe detto un vecchio leone saggio. Se però, la stessa Trachemys – così importante nel suo luogo d’origine – viene traslata all’interno di un nuovo ecosistema, simile per certi versi al suo, ma ben diverso sotto altri aspetti, allora avviene la catastrofe. Perché la testuggine continuerà a fare quello che sa fare meglio, mangiare e sopravvivere, ma non ci sarà niente e nessuno a metterle un freno, a contenerla. Con la sua voracità distruggerà intere popolazioni di pesci cibandosi dei loro avannotti, ridurrà la vegetazione del luogo, oltre a fare una cosa ben peggiore: prendere il posto di qualcun altro.
Si perché anche noi in Italia abbiamo una tartaruga palustre: si chiama Emys orbicularis ed è molto diversa dalla sua controparte americana. Tanto per cominciare è meno vorace e competitiva, ma soprattutto è prettamente carnivora (mentre l’Americana è onnivora e opportunistica): questa sua ultima caratteristica la mette in svantaggio rispetto alla Trachemys perché, mentre questa non si fa problemi a mangiare un po’ di tutto – limitando così, di fatto, la crescita delle potenziali prede di E. orbicularis – la nostra testuggine palustre si ritrova senza più cibo e la popolazione diminuisce.
Figura 2: Emys orbicularis e Trachemys scripta elegans a confronto
Nel complesso, quindi, la Trachemys passa da essere l’eroe in America ad essere il cattivo in Europa. Ma siamo onesti, in fondo, come per molti cattivi, non è poi del tutto colpa sua.
Le specie aliene
In biologia, le specie viventi – siano esse animali, vegetali o funghi – che a causa dell’uomo si trovano a colonizzare un territorio differente dal proprio areale storico vengono definite specie aliene o, più correttamente, specie alloctone.
Quando però una specie alloctona compromette gli ecosistemi originari a causa delle sue elevate capacità competitive, questa viene riconosciuta come specie aliena invasiva.
Tra le specie animali invasive più note presenti in Italia abbiamo, giusto per nominarne alcuni, il Gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii), l’Ibis sacro (Threskiornis aethiopicus), la Nutria (Myocastor coypus), lo Scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) e la già citata Trachemys scripta elegans. In questa lista viene spesso inserito anche il gatto domestico (Felis silvestris catus)
Per quanto riguarda le specie aliene vegetali, invece, abbiamo piante come l’Ailanto o Albero del Paradiso (Ailanthus altissima) e l’Acacia o Robinia (Robinia pseudoacacia)
Figura 3: A sinistra: Il fogliame dell’Ailanto (Ailanthus altissima); A destra: un esemplare femmina di gatto domestico (Felis silvestris catus)
Non tutte le specie aliene sono però specie invasive: affinché una specie aliena diventi invasiva bisogna che questa sia in grado di autosostenersi dal punto di vista riproduttivo nel nuovo habitat.
Esistono anche alcune specie aliene introdotte nel nostro paese per scopi venatori o alimentari che vengono ormai considerate “naturalizzate”: queste specie si sono inserite nella nuova area senza arrecare danno ad altre specie, né provocare alterazioni all’ambiente naturale. Dato ciò, quindi, non sono soggette ad alcuna strategia di contenimento, contrariamente a quanto accade con le specie invasive.
Figura 4: Il daino (Dama dama) è ormai considerato come una specie alloctona naturalizzata in Italia e può raggiungere localmente densità anche molto elevate, entrando in competizione con le specie autoctone
Come avviene l’introduzione di una specie aliena
Le specie aliene vengono introdotte all’interno di un nuovo ambiente generalmente a causa delle attività antropiche, attraverso introduzioni intenzionali (es. scopi agricoli, ornamentali, venatori o alimentari) oppure tramite introduzioni accidentali. Queste ultime sono generalmente legate ad attività commerciali come il trasporto merci o il commercio di animali e piante esotici.
Figura 6: Gran parte delle specie aliene sono giunte in UE mediante il trasporto marittimo
Un danno per la biodiversità
Le specie invasive sono una minaccia molto importante per la biodiversità in quanto provocano un impatto più o meno rilevante sugli ecosistemi autoctoni in cui si insediano. Tale impatto si può constatare, per esempio, dalla crescita esponenziale ed esuberante di alcune di queste specie vegetali che in questo modo limitano (se non addirittura bloccano) lo sviluppo della vegetazione spontanea dell’ecosistema in cui si ritrovano.
Infatti, gran parte delle specie aliene introdotte in un ambiente nuovo a loro favorevole riescono a proliferare in modo incontrollato dando vita a delle vere invasioni biologiche che possono alterare gli equilibri ecologici di interi ecosistemi causando danni non solo alla biodiversità, ma anche al paesaggio, alle colture, ai sistemi produttivi e alla salute umana.
Per questo motivo le specie aliene costituiscono la seconda causa di perdita di biodiversità dopo la perdita e frammentazione dell’habitat e la terza più grave minaccia alle specie in pericolo di estinzione in Europa, motivo per cui necessitano piani di gestione specifici.
Come risolvere il problema
Il problema legato alle specie aliene invasive non è sicuramente di facile risoluzione, ma lavorando sulla prevenzione, sui controlli e sul rispristino degli habitat danneggiati è possibile migliorare la situazione. Per fare ciò sono necessari un miglioramento del monitoraggio e dei controlli doganali, la rimozione fisica degli individui insieme a degli interventi per ripristinare gli ecosistemi naturali danneggiati.
Importante è anche l’educazione pubblica e la sensibilizzazione, soprattutto verso i più giovani, per evitare ulteriori immissioni di individui in contesti non adeguati.
Figura 6: L’educazione ambientale, soprattutto nelle scuole, ha un ruolo fondamentale nella corretta comprensione e gestione delle specie aliene invasive
Fortunatamente, negli anni, la consapevolezza circa la pericolosità di molte specie invasive è aumentata e sono nati nuovi luoghi atti al recupero di individui anche domestici non più gestibili e non solo. Un esempio è La casa di Tarta, un centro autorizzato presente in Emilia Romagna, che si occupa del recupero delle tartarughe palustri americane offrendo diversi servizi e operando su tutto il territorio nazionale, avvalendosi di personale esperto, zoologi e medici veterinari.
Laureata alla triennale di Scienze Naturali e alla magistrale in Ecologia ed Etologia per la conservazione della natura, sono sempre stata incuriosita e ammaliata dalla natura in tutto e per tutto. Sono una persona poliedrica e dalle mille passioni, amo stare all’aria aperta, immersa nella natura, ma non disdegno un bel pomeriggio a giocare o a guardare film e serie tv. Il mio animale guida, che è anche ciò che mi ha spinto verso il mio percorso accademico, è il lupo, tanto studiato quanto misterioso, che continua tutt’ora ad incidere nell’immaginario collettivo. Al momento lavoro come operatore della didattica e come guida presso lo Zoo di Napoli con l’intento di far conoscere quanto più possibile la fauna e la flora mondiale a grandi e piccini e per me la divulgazione è il mezzo principale per mostrare alle persone ciò che di bello esiste al mondo e soprattutto per far capire come noi siamo parte dello stesso.