Test del QI: definire e misurare l’intelligenza
4 min readLa ricerca sul come definire e misurare l’intelligenza va avanti da più di un secolo. Il dibattito accademico è ancora aperto, e tutt’ora in evoluzione, su entrambi i fronti. Cos’è l’intelligenza? Per essere in grado di misurare un concetto così ampio si deve prima averlo ben chiaro in mente. Sebbene il mondo degli esperti non sia ancora riuscito a poter mettere un punto alla questione, negli anni sono emersi numerosi modelli dai quali si è riusciti a creare dei test con un buon valore di predittività riguardo fattori quali il successo accademico e lavorativo. Questa è la grande famiglia dei test del QI, ovvero per attribuire una misura quantitativa al proprio funzionamento intellettivo.
Sebbene ci siano stati tentativi precedenti in questo campo, il primo test che più si avvicina alla concezione moderna di misurazione dell’intelligenza fu quello sviluppato dagli psicologi Frenchman Alfred Binet e Théodore Simon. Entrambi furono incaricati dal governo francese di creare uno strumento che permettesse di distinguere in maniera precisa i bambini con un funzionamento intellettivo nella norma da quelli con necessità di sostegni specifici o con problemi di apprendimento. Nacque così, nel 1905, il primo test del QI che più si avvicina agli standard odierni: la scala Binet-Simon. Questa scala si basa sull’assunzione che, sebbene l’intelligenza si sviluppi con l’età, le differenze individuali all’interno delle stesse classi di età rimangono stabili nel corso del tempo.
Con l’avanzare della ricerca, e con l’acquisizione di nuove conoscenze sul funzionamento intellettivo, sono stati sviluppati nuovi test e quelli già esistenti si sono evoluti ed aggiornati. Ad oggi tra i test del QI più usati ci sono i test di Wechsler e proprio la scala Stanford-Binet, evoluzione e aggiornamento del test originale di più di un secolo fa! Se la scala Binet-Simon confrontava le capacità di risoluzione dei problemi tra bambini della stessa età, i test moderni vanno a misurare un più ampio ventaglio di capacità e processi cognitivi: vocabolario, capacità matematiche, ragionamento visuo-spaziale, memoria, cultura generale, risoluzione dei problemi, ragionamento astratto e molto altro. I punteggi ottenuti sono poi corretti per rientrare in una curva a campana, alla cui cima c’è il punteggio medio della popolazione di riferimento corrispondente al 100. Esistono inoltre test del QI basati su misurazioni di carattere non verbale che ne permettono l’applicazione anche quando le prove verbali rappresenterebbero un ostacolo, come può essere con bambini piccoli o con soggetti con problemi di comunicazione.
Tra queste misure dell’intelligenza ce ne sono diverse considerate anche “culturally fair”, come il test ideato da Raymond Cattell, ovvero test capaci di misurare il funzionamento intellettivo in maniera oggettiva escludendo l’influenza di fattori socioeconomici e culturali che storicamente hanno rappresentato uno dei grossi limiti nella misurazione dell’intelligenza. Questi test si basano sulla distinzione proposta dallo stesso Cattell tra l’intelligenza cristallizzata e l’intelligenza fluida. La prima rappresenta infatti la capacità di risolvere problemi basandosi sulla propria esperienza e sulle proprie conoscenze, quindi fortemente legata alla cultura, alla scolarizzazione e a variabili esterne, mentre la seconda definisce la capacità di risolvere problemi nuovi e identificare schemi e relazioni senza alcuna conoscenza pregressa. Concentrandosi su questa è quindi possibile superare uno dei primi limiti alla misurazione dell’intelligenza. Tuttavia, i limiti nell’utilizzo dei test per la misurazione del QI non finiscono qui.
Una prima critica a queste categorie di test è data infatti dalla possibile influenza di quelle che sono definite come “test-taking skills”. Molte delle prove all’interno di questi test sono ad esempio prove a scelta multipla. Persone che fin da piccole sono state abituate a svolgere questo tipo di test sviluppano delle capacità e delle strategie che non riguardano la conoscenza dell’argomento o la capacità di risolvere problemi, ma sono specifiche per il tipo di prova in questione. Diventa così poco chiaro distinguere l’intelligenza dell’individuo dalle sue capacità nello svolgere test simili. Un altro limite è rappresentato dalla motivazione. Persone più motivate ad ottenere un punteggio alto, come può succedere quando ciò si lega ad una ricompensa come un posto di lavoro migliore, ottengono punteggi più alti.
Il limito più grosso è insito invece nella natura stessa della misurazione. Si cerca infatti di rappresentare il funzionamento intellettivo totale di una persona con un solo punteggio, o con pochi di più se si tengono in considerazione le sotto-scale. L’intelligenza viene invece vista, in ottica moderna, secondo modelli multifattoriali che includono componenti non facilmente misurabili tramite i test classici. Si parla ad esempio di intelligenza musicale, intelligenza cinestetica, intelligenza interpersonale, tutte forme diverse di intelligenza che la maggior parte dei test non prende in considerazione ma che possono essere determinanti nel funzionamento generale dell’individuo.
C’è ancora molta strada da fare per svelare tutti i segreti attorno al costrutto che chiamiamo “intelligenza”, intuitivamente una cosa semplice ma un enorme labirinto per gli addetti ai lavori. Ancora oggi rimangono limiti da superare, definizioni da migliorare e tanta ricerca da svolgere! Comprendere tuttavia cosa sia il QI, come viene calcolato e quali sono i limiti di questo tipo di misure può aiutare anche il più inesperto a capire meglio di cosa si parla quando si vuole misurare l’intelligenza e come queste misure funzionano davvero e quale realtà riflettono nella vita quotidiana.
Sono Francesco Alonci, laureato in Psicologia. Ho studiato Psicologia Cognitiva Applicata a Padova, città in cui tutt’ora vivo. Sono da sempre stato affascinato dal comportamento umano, da dove questo nasca e come si sviluppi. Sono inoltre un musicista, avido lettore e amante di videogiochi, cinema e cultura pop.
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