Novembre 17, 2024

Un artista-artigiano e la sua interiorità. Intervista a Roberto Mercadini

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Arte, cultura e scienza danzano sul palcoscenico di un teatro. Sono gli strumenti di un artista con ardore profetico per ritagliarsi uno spazio nel mondo. Ce lo racconta Roberto Mercadini
Roberto Mercadini

Com’è nata la passione per il teatro e la poesia e in che modo l’ambiente intorno a lei ha nutrito questi interessi?

Abito in un piccolo paese di campagna, Sala di Cesenatico: 3000 abitanti. Era usanza allestire spettacoli nel teatrino parrocchiale: commedie dialettali, piccoli varietà ecc. Quasi tutti i miei compaesani sono stati su quel palco, almeno una volta. Anche io ho partecipato a questi eventi, fin da bambino. Così ho scoperto che esisteva un modo per evadere dalla morsa della mia timidezza quasi patologica. Quello che non riuscivo a dire di fronte ad una persona, faccia a faccia, lo potevo esprimere davanti a 100 persone, tramite l’artificio del teatro.
Poi c’è stato l’incontro con la poesia, quella sulla pagina e quella recitata. A 16 anni il poeta russo Vladimir Majakovskij era il mio eroe: una specie di rockstar. Tutti i giorni leggevo integralmente il suo poemetto “la nuvola in pantaloni”. Poi un amico di famiglia, il pittore Stefano Ronconi, mi prestò un disco. Era Majakovskij letto recitato da Carmelo Bene. Per me è stata una epifania. Ricordo che, dopo il primo ascolto, per calmarmi salii sul motorino e andai a fare un giro a Cesenatico. Al ritorno ascoltai il disco un’altra volta daccapo. La mia vita era cambiata per sempre.

Quale dei suoi monologhi le ha infuso il più grande senso di soddisfazione professionale e personale?

Difficile sceglierne uno solo. Ma fra quelli che mi hanno dato più soddisfazione c’’è sicuramente l’Orlando Furioso. Nella prima edizione era diviso in due parti; circa 3 ore in tutto. Si trattava di due giovedì consecutivi. Ero preoccupatissimo. Mi dicevo: “Chi non viene alla prima serata, poi non verrà neppure alla seconda. Quindi il pubblico può solo diminuire”. Mi sbagliavo. La prima serata il teatro era pieno, la seconda strapieno. Sentire le persone ridere a crepapelle perché gli parli di Ludovico Ariosto è una soddisfazione impagabile. Hai davvero l’impressione che il tuo lavoro serva a qualcosa; cioè che sia utile alla società, oltre che alla tua sussistenza fisica.

A cosa si deve l’interesse verso la lingua ebraica e cosa possiamo imparare dalla cultura ebraica?

Penso che la cultura ebraica sia la cultura che esprime il massimo amore per le parole. Nella Bibbia e nella tradizione ebraica troviamo momenti altissimi di poesia, storia indimenticabili, dialoghi serratissimi. Se sei uno scrittore e un narratore teatrale, cioè uno che si occupa di parole, la cultura ebraica ti coinvolge per forza.
Io ho imparato diverse cose. Uno è che il concetto di autorità non ha nessun valore. Nella cultura ebraica, quando si disputa su un passò della Torah, nessuno può mettere a tacere l’altro dicendo che è più esperto, più sapiente, più anziano, più intelligente etc. Ognuno è tenuto a dimostrare che ha ragione con i fatti, portando argomenti convincenti, anche se discute con la persona meno brillante e più ignorante del mondo. La ragione non è del più autorevole: la ragione è di chi ha ragione.
L’altro insegnamento è il rapporto con la comicità. L’umorismo ebraico non è indugiare non è il ridicolo né il volgare: l’uomo che scivola sulla buccia di banana, le torte in faccia, le smorfie, i doppi sensi licenziosi ecc. Ha a che fare con lo spiazzamento che si prova quando ci si trova di fronte a qualcosa di completamente inatteso e di smisurato. Ha a che fare con un capovolgimento della prospettiva. Insomma, non è un abbassamento della tensione, ma uno slancio dell’intelligenza e del sentimento.

L’arte e la scienza sono due branche del sapere nettamente separate o vi può essere mutua contaminazione tra esse? Vi è della creatività nella scienza e del rigore scientifico nell’arte?

Per quanto mi riguarda, sì, c’è del rigore scientifico nell’arte. Credo che i miei monologhi e i miei libri debbano molto al fatto che ho una laurea in ingegneria. Ho un approccio metodico e tento di creare narrazioni consequenziali, dove sia chiara la catena delle cause e degli effetti. Per quanto riguarda la creatività degli scienziati, non essendo uno scienziato, non posso esprimermi, ma il grande fisico Richard Feynman diceva: “il mio lavoro è immaginazione in una camicia di forza”.
Credo che in futuro la scienza darà un grandissimo contributo all’arte perché rappresenta, per me, un serbatoio di storie e di concetti straordinariamente ricco; storie e concetti che meritano di essere raccontati e illustrati. Nel medioevo la religione ha alimentato l’arte fornendo i temi e i personaggi per una miriade di dipinti e di poesie. Credo che un ruolo analogo, in futuro, spetterà alla scienza.
Più difficile dire cosa l’arte possa dare alla scienza.

Genio e sregolatezza rappresentano un connubio ricorrente nelle personalità artistiche e intellettuali più rilevanti della cultura mondiale… Secondo lei a cosa si deve questo fenomeno e per quale ragione spesso queste persone hanno dei contrasti con la società?

Mah, l’associazione fra genio e sregolatezza è uno stereotipo romantico da cui tento di stare lontano. Io mi vedo più come un artista-artigiano rinascimentale. Uno che riceve delle commissioni, ha dei vincoli, delle scadenze da rispettare. Allo stesso tempo conduce una ricerca continua, tenta di creare qualcosa di unico e ineguagliabile. Per me l’artista deve essere uno strano ibrido: avere allo stesso tempo l’umiltà dell’artigiano e l’ardore del profeta.
Conosco molti artisti “sregolati”: gente che ingurgita fiumi di alcool o consuma droghe. Ma mi sembra che la loro sregolatezza sia un serio ostacolo al loro genio. Ricordiamoci che Christopher Marlowe, coetaneo di Shakespeare, è morto a 29 anni, ubriaco, in una rissa. Invece Shakespeare, che fino ad allora aveva prodotto opere di molto inferiori a quelle di Marlowe, gli è sopravvissuto serenamente ed è diventato Shakespeare.

Cos’è un artista e quale potrebbe essere il suo ruolo nella società moderna?

Un ruolo doppio, per me: una pars destruens e una pars costruens. La pars destruens consiste nel mostrare le insensatezze, le storture, le assurdità dei comportamenti cosiddetti “normali”. Nel mettere in crisi le certezze. Nel mostrare il valore del dubbio e pungolare il senso critico.
La parte pars costruens, invece, sta nel raccontare in modo efficace e chiaro la straordinaria complessità del mondo.

A volte il senso di inadeguatezza può condurre all’escapismo nei recessi più profondi dell’anima, e da questo intimo incontro con se stessi può fiorire qualcosa di positivo e di edificante. In che modo una persona che si sente inadeguata può riuscire a trovare il proprio equilibrio interiore?

Sì, su questo sono d’accordo. Da adolescente mi sono sentito totalmente inadeguato. Questo mi ha portato a chiudermi in me stesso. Ma da questa chiusura è nato anche un approfondimento. Stavo da solo a leggere e a farmi domande mentre la maggior parte dei miei coetanei era impegnata a svagarsi e a seguire le mode del momento. Ora sono felice di essere la persona che sono. Ma riconosco che questa felicità è nata da un’infelicità. Quando le cose non vanno bene sei costretto a farti domande, ad osservarle da una prospettiva di diversa. Se il mondo ti coccola e ti culla, invece, rischi di addormentartici dentro. E poi il risveglio può essere piuttosto traumatico.

Spesso nei suoi video fa riferimento a grandi personaggi del passato. Se potesse passare una serata a chiacchierare con qualcuno di questi, chi sceglierebbe e cosa gli/le racconterebbe del mondo di oggi?

Mi piacerebbe parlare con Leonardo da Vinci. Gli farei i complimenti per i suoi studi sul cuore e in particolare per come ha descritto la valvola semilunare aortica; gli spiegherei che la scienza moderna si è accorta che lui aveva ragione dopo 450 anni.
E poi gli direi che oggi abbiamo degli occhiali potentissimi che servono a vedere le cose sommamente distanti. E così abbiamo scoperto che il cosmo è fatto proprio come piace a lui: cioè pieno di cose spiraleggianti (che chiamiamo “galassie”) e di cose sfumate (che chiamiamo “nebulose”). Immagino che ne sarebbe entusiasta.

Quali sono state le opere culturali che hanno impresso un segno più significativo nella sua interiorità?

Ne cito sono alcune, per non dilungarmi. Sicuramente ha avuto molta influenza su di me l’opera di Ludwig Wittgenstein, il padre della filosofia del linguaggio. Penso che sia soprattutto grazie a lui se, di fronte ad una frase, per prima cosa, prima di decidere se sono d’accordo oppure no, mi chiedo “che cosa significa, esattamente?”.
Un’altra influenza viene dai Pensieri di Marco Aurelio, un libro che ogni tanto rileggo e che ha formato in parte la mia visione del mondo.
Di altre ho già parlato: la tradizione esegetica ebraica, l’Orlando Furioso, Carmelo Bene, Leonardo.

Quali consigli si sente di dare a dei giovani desiderosi di inseguire i propri sogni ed eventualmente in lotta contro una realtà ostile?

Mi imbarazza profondamente l’idea di dare consigli agli altri. Soprattutto se questi “altri” sono “i giovani”. Quando io ero giovane mi irritavano tantissimo le persone mature che mi dispensavano consigli non richiesti. Chi dà consigli a qualcun altro si pone per ciò stesso su un piano superiore; sta dicendo “io ho qualcosa da insegnarti e tu devi imparare da me”. Mi chiedevo come mai la maggior parte di coloro che mi infliggevano i loro consigli fossero poi così infelici e insoddisfatti. Pensavo: “Forse a seguire i loro consigli si diventa così. Allora è più prudente non seguirli. Anzi, proviamo a fare tutto l’opposto”.
Tanto per fare un esempio, in moltissimi mi istigavano ad abbandonare il mio paesino per trasferirmi a Roma o a Milano. In questo modo non avrei rivisto la mia compagna se non quando tornavo: la relazione sarebbe stata molto complicata. Ma ora esiste il web. Se faccio un video nella mansarda di casa mia ha decine di migliaia di visualizzazioni. Mi sono creato una piccola notorietà in questo modo. Quando faccio spettacoli a Roma, Milano, Torino, Firenze, Genova, riempio spesso sale da 150-200 posti. E sono felicemente sposato con la mia compagna di allora. Evidentemente non c’era bisogno di lasciare il mio paesino. Quindi l’unico consiglio che mi sento di dare ai giovani è: “state alla larga dai consigli”.

Ringraziamo Roberto Mercadini per averci concesso l’intervista.

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