Una traccia di Italia negli scrittori inglesi
8 min readL’Italia ha sempre rappresentato non solo un magnifico luogo dal punto di vista naturalistico, ma anche, e soprattutto, una fonte inestimabile di storia e cultura. Infatti può vantare il maggior numero di siti iscritti nella lista del patrimonio mondiale UNESCO, 59, che considerando la sua superficie, inferiore a molti stati europei, rende il risultato ancora più interessante. Questa sua ricchezza naturalistica, storica e culturale è proprio quello che ha attirato non solo masse di turisti, ma anche brillanti menti.
La lista di “visitatori” sarebbe lunga, se non infinita; quindi, si propone il resoconto di cinque autori inglesi che sicuramente hanno lasciato un segno in Italia e che a loro volta sono stati segnati dal nostro paese.
Geoffrey Chaucer, l’amore per la poesia italiana
Chaucer ricoprì importanti ruoli nella vita politica e nella diplomazia inglese grazie al patrocinio di Giovanni Plantageneto, I duca di Lancaster. Proprio il suo ruolo gli offrì la possibilità di recarsi in Italia molte volte per motivi diplomatici. Sui suoi viaggi non esistono resoconti precisi, ma furono sicuramente numerosi e le sue missioni diplomatiche riguardavano soprattutto la stesura di trattati, accordi matrimoniali, negoziazioni. Chaucer si rivelò il diplomatico giusto anche vista la sua conoscenza dell’italiano. Durante i suoi soggiorni italiani entrò in contatto e studiò le opere di Petrarca, Boccaccio e Dante, innamorandosi perdutamente della letteratura italiana. I ripetuti viaggi all’esterno contribuirono alla sua educazione letteraria: la letteratura francese e quella italiana nel XIV secolo erano già pienamente sviluppate a differenza di quella inglese che era ancora in una fase sperimentale.
Si recò principalmente in Lombardia, in particolare a Milano e Pavia. Proprio all’università di Pavia ebbe la possibilità di consultare e ispirarsi a scritti che non erano disponibili in Inghilterra come dimostra la vasta conoscenza di Boccaccio, del suo stile e delle sue opere, ancora sconosciuti in Inghilterra. Tra le opere ovviamente spicca il Decameron che ha influenzato la struttura narrativa e le descrizioni dei personaggi del capolavoro di Chaucer, The Canterbury Tales. Chaucer sicuramente lesse anche altri autori, tra cui Virgilio, Ovidio, Sant’Agostino; potrebbe anche aver acquistato delle copie che riportò con sé in patria.
Chaucer assorbì tutta quella cultura che trasformò la sua pratica letteraria. Questa influenza è tangibile nell’introduzione della rhyme royal, una tipologia di strofa composta da sette versi, solitamente pentametri giambici, e del distico eroico, ossia sequenze di coppie di versi in rima in pentametro giambico, con una pausa a metà di ogni verso. Queste novità metriche assomigliano ai versi endecasillabi italiani con la loro importanza all’accento: infatti l’autore non sviluppò queste tipologie di verso se non dopo aver conosciuto e imitato le opere degli autori italiani, dando seguito alla sua voglia di sperimentare con la lunghezza delle strofe, lo schema delle rime e la lunghezza dei versi.
John Milton, la voglia di cambiamento
Con l’avvento del Grand Tour, originariamente per i giovani dell’aristocrazia britannica, che consisteva nel giro di città e zone di interesse artistico e culturale europee per fini educativi, Milton plasmò le sue idee entrando in contatto con una società e una cultura molto diversa dalla realtà inglese. La sua volontà era di visitare un luogo completamente diverso dalla sua patria per trovare una nuova pressione e stimolo alle proprie idee.
In particolare nel 1638 passò gran parte dei suoi 15 mesi del Grand Tour in Italia, a Roma e Firenze. Negli ambienti universitari fiorentini incontrò letterati italiani che condividevano con lui gli interessi umanistici, l’amicizia continuò anche dopo il suo ritorno in patria. L’incontro più memorabile, e anche quello che probabilmente segnò una svolta nella crescita di Milton, fu quello con Galileo, anche se le circostanze non sono ben chiare. La prova dell’importanza di questo incontro è evidente nel fatto che Galileo è citato diverse volte nella sua opera Paradiso perduto, un poema in dodici libri sulla caduta dell’uomo e l’espulsione di Adamo ed Eva dal paradiso. In un passaggio dell’opera, l’angelo Raffaele riesce ad avere una visione chiara attraverso i cieli del paradiso paragonata alle osservazioni del cannocchiale galileiano della superficie lunare. L’incontro tra una fine mente scientifica e una letteraria cambiò Milton, persone di diametralmente opposti mondi si incontrarono.
L’Italia ha anche ispirato alcuni dei passaggi più evocativi e finemente dettagliati dell’opera: la caduta degli angeli è paragonata ai ruscelli di Vallombrosa, non lontano da Firenze. Proprio nella sua opera ritroviamo l’eredità delle sue esperienze formative in Italia in cui si immerse a pieno nonostante sia ricordato come un politico ostile al cattolicesimo e all’idolatria della bellezza. L’imminente Guerra Civile in Inghilterra causò il suo ritorno in patria nel 1639, prendendo attivamente parte alle lotte e rivolte politiche e religiose, a supporto del Parlamento.
Romanticismo inglese e Italia
Con l’inizio del Romanticismo, che convenzionalmente viene riferito all’anno di pubblicazione delle Lyrical Ballads nel 1798, il fascino italiano sugli autori dell’epoca interessa la maggior parte degli esponenti del movimento letterario. Occorre fare una distinzione tra la prima generazione di poeti romantici, Wordsworth e Coleridge, e la seconda generazione, Byron, Shelley e Keats.
William Wordsworth, l’ammirazione riservata
Wordsworth è stato maggiormente influenzato dall’Italia rispetto a Coleridge, il quale si era recato nel paese per le sue condizioni di salute e per poter beneficiare di un clima più mite.
Le numerose letture di autori italiani e le esperienze come traduttore e imitatore di Wordsworth iniziano già negli anni 80 del XVIII secolo, soprattutto fu influenzato da Petrarca, Ariosto, Buonarroti. Nel 1790 visitò l’Italia e rimase affascinato dal lago di Como che descrisse come un tesoro che la terra tiene per se stessa esprimendo la sua idea di ammirazione e amore per la natura, di una relazione pacifica con essa, mentre nel 1820 attraverso le Alpi. La terza visita nel 1837 fu la più importante per Wordsworth, ormai ultrasessantenne, perché, dopo averne apprezzato gli aspetti naturalistici, poté anche immergersi completamente nella letteratura e cultura italiana. Trascorse il tempo e Roma e Firenze dedicandosi alla lettura e traduzione di classici dal Trecento al periodo preromantico e componendo poesie su aspetti storici, politici e culturali italiani. Nel 1842 pubblicò una collezione di poesie in cui vennero incluse 28 riflessioni poetiche in merito al suo viaggio in Italia, che ci mostrano non solo il legame tra Wordsworth e la cultura italiana (l’autore esprime in particolare la sua ammirazione per lo stile e la sensibilità di autori come Dante e Tasso), ma anche forniscono un punto di riflessione sulla relazione tra Italia e romanticismo inglese.
George Byron e Percy Shelley, il dolce e tragico esilio
I poeti della seconda generazione apprezzarono e beneficiarono dell’Italia in una prospettiva diversa da Wordsworth. In particolare Byron e Shelley condividono due elementi: i loro soggiorni in Italia furono in realtà esili “volontari” nella speranza di trovare una maggior libertà e tolleranza verso i loro stili di vita eccentrici; il nostro paese si legò tragicamente alle loro premature morti.
Byron, a seguito di uno scandalo che lo vedeva accusato di omosessualità e incesto con la sorellastra Augusta, nonché a causa dei debiti, si trasferì in Italia nel 1816 e vi rimase fino al 1823 soggiornando in molte città come Venezia, Pisa, Genova. Lui stesso incarnò l’eroe byroniano nelle sue molteplici avventure italiane: il suo spirito indomito e ribelle lo fece distinguere nello sport, per le riunioni cospiratorie e per le imprese militari, provando avversione per l’aristocrazia e cogliendo piaceri e privilegi in ogni loro forma.
A Venezia fu coinvolto in tresche amorose e frequentò il caffè Florian in Piazza San Marco, luogo frequentato da nomi noti, sia stranieri sia italiani, in campo artistico e letterario. Si spostò poi a Ravenna dove incontrò Teresa Guiccioli diventandone il Cavalier servente e il cui fratello lo iniziò al movimento dei Carbonari, nel quale il poeta partecipò attivamente visto anche il suo carattere. Qui scrisse tre canti del Don Giovanni, un poema epico satirico rimasto incompleto. A causa di uno scandalo si trasferì a Pisa e in seguito a Livorno.
In seguito si stabilì a Genova nel momento in cui la sua fama era ai massimi livelli. Ma non solo la fama lo condusse in Liguria, infatti nel 1822 il suo caro amico Percy Shelley, conosciuto nel 1816 sulle Alpi svizzere, perse la vita durante una gita in barca nel golfo di Lerici. Fu proprio la moglie di Shelley, Mary, a trovare una casa al poeta che si stabilì a Genova nella prospettiva di imbarcarsi alla volta della Grecia per unirsi alle rivolte per l’indipendenza contro i Turchi, durante le quali perse la vita.
Shelley fu un vero e proprio esiliato in Italia per molteplici ragioni: fu un forte oppositore della cristianità, partecipò e fomentò le rivolte in Irlanda contro il governo inglese e gli vennero revocati i diritti genitoriali sui due figli dal primo matrimonio dopo che la moglie si suicidò per accuse di immoralità nei suoi confronti. Dopo che si risposò con Mary Godwin, vista la sua situazione in patria decise di andare in esilio in Italia nel 1818. La scelta dell’Italia fu anche influenzata dalla mitezza del clima che era più adatta alle condizioni di salute di Shelley, in particolari per le problematiche legate ai suoi polmoni, e dal minor costo della vita visti i numerosi debiti del poeta, oltre che per sfuggire alle maldicenze e al moralismo inglese.
Inizialmente la coppia visitò i classici luoghi del Grand Tour per poi stabilirsi a Pisa, dove giunse anche Byron. Shelley così da turista diventò un espatriato e la sua percezione dell’Italia cambiò: le diversità del paese e dei suoi abitanti lo influenzarono in maniera più profonda, Shelley si immedesimò a tal punto nella cultura, politica e letteratura che definì l’Italia il paradiso degli esiliati. Dopo Pisa la coppia, insieme ad alcuni amici, si trasferì a Lerici nel 1822. Questa zona della Riviera di Levante della costa ligure è conosciuta come il Golfo dei Poeti: nel corso dei secoli tanti poeti, scrittori e artisti hanno trascorso parte della loro vita nei borghi del golfo, attratti dalla bellezza di questo incantevole luogo: Dante, Petrarca, Charles Dickens, Henry James, Virgina Woolf, solo per citarne alcuni. Come già indicato, fu proprio in queste acque che Shelley trovò la morte.
Un detto recita “l’uomo fa il luogo, e il luogo l’uomo”.
Sono laureata in traduzione e interpretariato con specializzazione in inglese e in russo. Adoro viaggiare per entrare in contatto con culture diverse e comprenderne gli usi e i costumi, infatti ho vissuto per un certo periodo a San Pietroburgo. Tra i miei maggiori interessi ci sono lo studio delle lingue, il cinema e la danza.